di Carlo Zannetti. Frida Kahlo, i suoi meravigliosi autoritratti sfiorano il mio viso impavido che non vuole abbandonare questo fantastico sogno, che vi giuro, vorrei non finisse mai. Tutto passa lentamente, sono solo di fronte a questo paesaggio lunare sottovuoto, non sono neanche sicuro di riuscire a respirare come dovrei. Tutti i segnali di un passato vissuto male scorrono davanti ai miei occhi, possiedo uno sguardo stregato che riesce a catturare ogni minima sfumatura di colore, di dolore, di angoscia, di libertà. Adesso penso al sollievo che provò Frida quando scoprì di aver trovato una vera via di fuga dalla realtà, ancora una volta l’arte che irrompe nella vita di una persona triste, ancora una volta il talento che sfida il male fisico e quello mentale. Sono solo ferite riempite di splendidi colori . Incontro Frida seduta per terra, il suo viso tra il sole e la luna, lei mi guarda e mi scalda con un sorriso, riflesso ancora una volta in quel grande specchio che giace sopra di noi. Come fai a sorridere ancora Frida? “Non lo so, ma sorrido comunque”. Lei non parla più rimane nell’aria l’alone del mistero di quel favoloso talento venuto da chissà dove, che si é infilato dentro a quel corpo malandato nel deserto di un lontano vecchio Messico.
La verità é che sogno perché sono stato ore ad osservare tre foglie intrappolate dal vento in un angolo del mio giardino, che non facevano altro che rincorrersi in uno strano moto circolare indotto dalla magia di quel momento.
Non mi spiego il motivo, ma sono convinto che nei sogni ci siano tutti gli indizi necessari per trovare alcune delle risposte che non troveremo mai nella realtà della nostra vita, forse perché il sogno é un frutto notturno del nostro cervello e nasce senza condizionamenti da parte del fisico. Il sogno proviene dalle nostre lunghe antenne, contiene le paure di quando eravamo bambini, i mostri , le voci a noi amiche, i nostri amori dimenticati, i particolari che non siamo mai stati in grado di vedere nella realtà. I sogni forse sono una seconda realtà.
Frida sembra così serena e ancora una volta mi guarda e mi dice: “ Tu forse hai capito che non siamo noi a scegliere una strada, ma é una strada che sceglie noi “. E ancora : “ Le nostre tracce rimangono nelle case dove abbiamo abitato e se sei attento le puoi trovare anche in quelle dove abiteremo “.
La musica in sottofondo é un insieme di note che sono piovute sullo spartito di Johan Sebastian Bach, come piove un poker d’assi nel gioco dei dadi. Adesso sono solo ma in questo sogno mi sento come le foglie che osservavo nel giardino di casa mia, anch’io danzo nel vento. Io sono sull’onda del Largo del concerto numero 5 in Fa minore per pianoforte e orchestra, sono in bilico sulla magia. Io sono solo uno spettatore innamorato di quello che c’é oltre il fisico.
Ricompare Frida stesa sul suo letto, non so perché ma capisco che ha solo 47 anni. Lei emana l’ultimo respiro e dalla sua bocca escono migliaia di farfalle colorate che si librano nel cielo che in quel momento si é fatto nuvoloso.
Mi sveglio, mi siedo sul letto e cerco di ricomporre il sogno. Forse un passaggio della mia vita é nascosto tra quelle tele, dopo pochi minuti compro un giornale e leggo con enorme sorpresa che a Milano dal 1 febbraio al 3 giugno c’é una esposizione di alcune delle sue opere. Frida mi chiama! Prendo il treno e corro a questo appuntamento con il mio destino, non faccio altro che ripetere a me stesso quella mia frase : “Non mi spiego il motivo, ma sono convinto che nei sogni ci siano tutti gli indizi necessari per trovare alcune delle risposte che non troveremo mai nella realtà della nostra vita”.